Il Lazio presenta una situazione ambientale simile a quella di Taranto, famosa per i suoi problemi legati all’ilva. Infatti, anche a Pomezia esiste un’industria di grande rilievo che continua a compromettere la salute dell’ecosistema e delle falde acquifere locali, nonostante i tentativi di bonifica. La questione riscontrata con lo stabilimento di Leonardo, leader nel settore dell’aerospazio e della difesa, riflette situazioni analoghe già vissute in altre aree industriali italiane, dove il profitto e la produttività spesso prevalgono su sicurezza e salute pubblica.
Un decennio di illusorie bonifiche
Da oltre dieci anni, l’impianto ubicato in via dell’Industria 4 a pomezia è soggetto a un processo di bonifica avviato dopo che l’azienda ha denunciato l’inquinamento delle falde acquifere provocato dalla sua attività produttiva. Tutto ebbe inizio nel 2013,quando Leonardo avviò le procedure di bonifica conformandosi a obblighi di legge,tentando di contenere l’inquinamento e arrestare il rilascio di sostanze pericolose,tra cui il cromo VI.Tuttavia, dopo dodici anni di interventi, i risultati rimangono allarmanti. I livelli di contaminazione nelle falde sono ancora superiori ai limiti di legge, alimentando preoccupazioni che superano il semplice ambito tecnico della questione.
Nel 2016, Arpa Lazio e altri enti di monitoraggio hanno iniziato un’analisi approfondita della qualità delle acque e dell’aria nei comuni di pomezia e Ardea, scoprendo livelli allarmanti di contaminazione da tetracloroetilene e tricloroetilene, solventi tradizionalmente impiegati in molte attività industriali. Questi composti chimici, noti per la loro pericolosità per la salute, sono stati trovati in concentrazioni critiche nelle vicinanze dello stabilimento leonardo, segnalando l’inefficacia della bonifica in atto. Secondo la relazione del 2016 di Arpa Lazio, la contaminazione è da attribuirsi a pratiche risalenti tra i 10 e i 20 anni prima, aggravando continuamente l’impatto ambientale e sanitario della zona.
I solventi clorurati non solo persistono a lungo nell’ambiente, ma la loro rimozione si rivela estremamente complessa, poiché tendono a infiltrarsi sempre più in profondità nelle acque sotterranee. Questo rappresenta un rischio per la salute dei cittadini che si servono di queste falde contaminate per l’uso domestico e per l’irrigazione. Nel corso degli ultimi anni, Arpa Lazio ha proseguito con il monitoraggio, evidenziando l’inadeguatezza delle tecniche di bonifica utilizzate fino ad ora. Un sigillo definitivo sul fallimento delle operazioni di risanamento è stato posto durante la conferenza dei Servizi tenutasi nel marzo 2025, quando l’analisi dei rischi presentata da Leonardo è stata respinta, destando forti dubbi sulla qualità degli interventi realizzati finora. In sostanza, documenti provenienti anche dal Comune di Pomezia rivelano che l’azienda, malgrado gli interventi di bonifica e monitoraggio, non è riuscita ad arrestare il flusso di contaminazione e ha continuato, consapevolmente o meno, a inquinare l’ambiente circostante. Il sistema “pump and treat” per le acque reflue industriali, che prevede il pompaggio e il trattamento delle acque inquinate, non ha portato ai risultati sperati, poiché la contaminazione persiste a livelli critici, compromettendo seriamente le risorse idriche della zona.
Chi risponde della bonifica?
Una domanda inquietante rimane: chi ha vigilato sul processo di bonifica? Quali sono state le figure preposte alla supervisione degli interventi e perché questi non hanno prodotto gli effetti attesi? Le autorità locali e regionali sono state sufficientemente attive e preparate nel monitorare le pratiche di risanamento, o si sono lasciate convincere dalle promesse e dalle piani presentati da Leonardo?
Leonardo è una delle aziende di punta in Italia, con uno dei suoi stabilimenti più profittevoli collocato a Pomezia, generando miliardi di euro dalla produzione di dispositivi elettronici per l’industria della difesa.Tuttavia, il bilancio ambientale e umano dell’azienda è decisamente meno incoraggiante. La contaminazione delle falde acquifere non compromette solo l’ambiente,ma influisce direttamente sulla salute della popolazione locale,composta sia dai lavoratori dello stabilimento che dai residenti nei dintorni.le acque sotterranee sono una risorsa essenziale per tutta la comunità, e tollerare la loro contaminazione senza trovare una soluzione definitiva rappresenta una grave responsabilità che solleva interrogativi pesanti sulla gestione dell’emergenza ambientale da parte di Leonardo e degli enti competenti.
Necessità di maggiore trasparenza
La Regione Lazio deve ora impegnarsi a chiarire la situazione, rispondendo alle giuste preoccupazioni dei cittadini e prendendo in mano la questione, poiché un disastro ambientale di questa portata non può più essere ignorato. È fondamentale che le istituzioni intervengano con determinazione,poiché la trasparenza su tali temi è cruciale per evitare che si riproponga una situazione simile a quella di altri siti industriali in Italia,come l’Ilva di Taranto.
Così come a Taranto, dove le polveri di acciaio e la diossina avvelenano lentamente la vita dei cittadini, anche a Pomezia è l’acqua, risorsa fondamentale per la vita, a essere contaminata. In entrambi i casi, le promesse di bonifica si sono trasformate in un lungo cammino di insuccessi e ritardi, con il risanamento che si configura come un miraggio. A pagarne le conseguenze, oltre all’ambiente, sono i cittadini, la cui unica colpa è quella di respirare un’aria tossica e bere acqua contaminata.
Ancora una volta, proprio come a Taranto, assistiamo a una contrapposizione ingiusta tra interessi economici e sicurezza, tra lavoro e salute, tra produttività e ambiente. Queste dicotomie non dovrebbero più esistere, poiché sia la salute che il lavoro costituiscono diritti fondamentali. Le istituzioni hanno il dovere di tutelarli.
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