La pesca a strascico: un flagello che devasta gli ecosistemi marini
Un video recentemente diffuso da National Geographic mostra senza filtri la crudeltà della pesca a strascico. Le immagini ritraggono animali marini in fuga disperata, terrorizzati da gigantesche reti che avanzano sul fondale, travolgendo ogni forma di vita nel loro cammino.
Non è una scena tratta da un racconto apocalittico, ma la realtà di questa tecnica di pesca. il documentario Ocean with David Attenborough svela l’impatto devastante di questo metodo, mostrando la traiettoria inesorabile delle reti che inghiottono pesci, tartarughe marine, delfini e numerose altre specie.
Come funziona la pesca a strascico e perché provoca danni irreparabili
La pesca a strascico utilizza una rete di ferro tirata lungo il fondo marino da una nave. Questo sistema “cattura alla cieca” qualsiasi organismo incontrato, senza distinzione tra specie desiderate e quelle collaterali.
il termine “deforestazione marina” coniato dagli esperti riflette bene la realtà: infatti, questo tipo di pesca rimuove non solo i pesci, ma anche interi habitat bentonici, contribuendo inoltre a rilasciare nell’atmosfera una quantità significativa di anidride carbonica immagazzinata nei sedimenti marini.
- Secondo alcuni studi, la pesca a strascico è responsabile di emissioni globali di CO2 che si aggirano attorno a 370 milioni di tonnellate ogni anno.
- Nei pescherecci a strascico, oltre il 75% del pescato viene rigettato in mare, spesso morto o ferito, generando uno spreco enorme e una gravissima pressione sulle popolazioni marine.
Le conseguenze sull’ambiente e sulle specie marine
Il problema non riguarda solo i pesci commerciali come merluzzo, eglefino o halibut, ma anche molte altre specie che finiscono nella rete in modo accidentale. Tartarughe, delfini e altre creature marine sono vittime di una pesca indiscriminata che compromette la biodiversità.
In Europa,la Grecia si è distinta vietando la pesca a strascico nelle aree marine protette,un passo avanti significativo. In Italia, questo divieto si estende solo all’area delle egadi, ma le violazioni sono numerose e spesso difficili da controllare.
Dietro le quinte: la difficoltà di documentare la pesca a strascico
Keith Scholey, co-regista e produttore del documentario, ha raccontato quanto sia stato complesso ottenere immagini nitide e realistiche della pesca a strascico. Per catturare la verità, il team ha posizionato telecamere direttamente sulle reti di un peschereccio commerciale, evitando però di interferire con il danno causato.
Il risultato è un racconto visivo crudo e potente, che mostra non solo la cattura, ma anche il destino degli animali sul ponte delle imbarcazioni.Alcune scene, purtroppo, sono state scartate perché troppo cruente, come i granchi schiacciati dalla draga.
Un appello per un futuro senza pesca a strascico nelle aree protette
La diffusione di questo documentario rappresenta un invito a riflettere e agire. Organizzazioni come Revive our Ocean hanno lanciato petizioni per vietare definitivamente la pesca a strascico nelle aree marine protette, chiedendo alle istituzioni e ai governi di intervenire.
Questo tipo di pesca appare anacronistico e insostenibile, in netto contrasto con i principi della tutela ambientale e della gestione responsabile delle risorse marine.
Note finali
Le immagini e le testimonianze raccolte da attivisti e studiosi sono un monito potente. Mostrano come la pesca a strascico comprometta non solo la salute degli oceani, ma anche le economie locali che dipendono dalla pesca sostenibile e dal turismo marino.
Rifletti: è possibile immaginare un mare ricco e vibrante se continuiamo a sfruttarlo in questo modo?
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