Trentatré anni dalla Strage di Capaci: palermo tra memoria, protesta e riflessioni sull’antimafia
Il 23 maggio rimane una ferita aperta nella storia italiana: quel giorno, Cosa nostra tradì ogni regola uccidendo Giovanni Falcone, il magistrato simbolo della lotta alla mafia. Insieme a lui persero la vita la moglie Francesca Morvillo, anch’essa magistrata, e tre valorosi agenti della scorta, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo.Una tragedia che segnò la cronaca nazionale e per la quale furono condannati i vertici di Cosa nostra, ma che non ha mai scoraggiato la procura di Caltanissetta dal cercare ulteriori responsabilità al di fuori dell’organizzazione mafiosa, alla luce di possibili “concorrenti esterni” coinvolti nella stagione stragista del 1992.
Ancora più grave fu la sorte di Paolo Borsellino,ucciso cinquantasette giorni dopo con gli agenti della sua scorta,un episodio che ha lasciato un segno indelebile nella coscienza collettiva.
Palermo che ricorda: commemorazioni e momenti di riflessione
La città di Palermo oggi si ferma per onorare questi martiri con una serie di eventi e iniziative che culmineranno nel momento di silenzio alle 17:58, davanti all’Albero Falcone, diventato ormai un simbolo accanto alla casa del giudice. Questo memoriale vivente è uno spazio in cui storia e memoria si intrecciano, evocando il sacrificio di chi ha scelto di sfidare il potere della mafia.
Ma il ricordo si mescola con la protesta.Da un lato, si celebra l’antimafia istituzionale, dall’altro cresce un sentimento di contestazione nei confronti di un governo accusato di abbassare la guardia nella lotta contro le organizzazioni criminali, alimentando un dibattito che fa emergere tensioni tra le diverse anime della società civile.
“Non chiedeteci silenzio”: la voce delle associazioni e dei familiari
Nino Morana, nipote di Agostino, agente ucciso dalla mafia con la moglie incinta, ha ricordato come la richiesta sia innanzitutto verità. “L’80% dei familiari delle vittime ancora oggi non conosce tutta la verità”, ha detto, sottolineando che la manifestazione non è una protesta contro le istituzioni, ma un invito al dialogo e all’ascolto. Un richiamo sentito, che segue il corteo “Non chiedeteci silenzio”, voluto dalle associazioni giovanili e antimafia per mantenere alta l’attenzione su buchi neri e depistaggi ancora irrisolti.
Il flash mob che ha anticipato il corteo, con una ragazza vestita da premier Giorgia Meloni seduta tra sedie bianche vuote, ha sollevato interrogativi sulla politica attuale. il messaggio chiaro chiedeva di superare normative che ostacolano la lotta antimafia, come il decreto sicurezza o i limiti alle intercettazioni.
Tra accuse e riflessioni: la politica e l’antimafia
I toni si sono fatti duri anche nelle dichiarazioni di Giuseppe Provenzano del Pd, che ha criticato l’intervento del ministro della Cultura Alessandro Giuli per aver celebrato la propria partecipazione al Fronte della Gioventù durante la cerimonia ufficiale, definendolo “non commentabile”. Le critiche si sono estese anche a provvedimenti governativi percepiti come inefficaci contro la mafia, evidenziando un clima di tensione e sfiducia verso l’azione politica.
Da parte sua, il ministro della Giustizia Carlo nordio ha sottolineato la complessità del processo di digitalizzazione giudiziaria, promettendo entro l’anno il completamento del primo grado penale digitale. Un impegno che testimonia quanto la modernizzazione delle istituzioni sia parte della sfida contro il crimine organizzato.
Parole che pesano: dalla figlia di Borsellino al procuratore de Lucia
Fiammetta Borsellino ha espresso una forte critica: “oggi ho sentito parlare poco di verità”. La sua testimonianza ha ricordato i depistaggi nella strage di via D’Amelio, una ferita aperta che ancora pesa sul cammino della giustizia e della coscienza nazionale.Una denuncia toccante sull’importanza di non dimenticare il valore della verità per onorare la memoria delle vittime.
Maurizio de Lucia, procuratore capo di Palermo, ha spiegato come la mafia si sia evoluta, spostando gran parte delle comunicazioni nell’ambito digitale, utilizzando telefonini criptati e social, un modo per aggirare le intercettazioni. oggi Cosa nostra non ha più una Cupola rigida ma mantiene una struttura solida e un grande interesse negli affari economici.
Le scuole protagoniste: la mafia teme la cultura
L’energia della memoria si è respirata anche nelle piazze gremite di studenti. Tremila giovani hanno invaso il Palazzo di Giustizia di Palermo con slogan come “No mafia”, “Il coraggio di dire no” e “La mafia teme la scuola”. Un chiaro segnale di quanto l’istruzione e la cultura rappresentino un baluardo contro il malaffare, coinvolgendo 167 scuole nella Regione e consolidando il legame tra magistratura, avvocatura e mondo dell’educazione.
Profondità e provocazioni: riflessioni di magistrati e familiari
Il giudice Alfredo Morvillo, fratello di Francesca, ha lanciato un duro monito verso la città: “Palermo è la capitale del compromesso politico mafioso”. Ha denunciato una realtà ancora troppo contaminata, dove spesso le commemorazioni restano rituali senza un vero cambiamento politico-amministrativo. Le sue parole riecheggiano un’ansia profonda che sembra vedere una Palermo distanziata dalle figure di Falcone e Borsellino.
Intanto, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha ricordato come in quarant’anni la mafia abbia cambiato pelle, sparando di meno ma infiltrandosi negli appalti e nella pubblica amministrazione, sottolineando l’esigenza di un’azione costante e attenta.
Un futuro incerto, tra memoria, lotta e tensioni sociali
Il ricordo di quella strage si fonde oggi con la consapevolezza che la criminalità organizzata continua a vivere e che persino nel mondo digitale la mafia sa reinventarsi. Le parole di ex magistrati e personalità della politica, le manifestazioni degli studenti, le tensioni tra istituzioni e cittadinanza raccontano una sfida ancora aperta e complessa.
L’albero Falcone resta un simbolo dell’impegno e del sacrificio,ma anche un monito a non abbassare mai la guardia: la lotta alla mafia non è finita e la ricerca della verità non deve mai fermarsi. Proprio come Falcone insegnava, il contrasto a Cosa nostra richiede coerenza, decisione e una cultura radicata nella legalità.
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