Crisi in Medio Oriente: il confronto tra Stati Uniti,iran e Israele si intensifica
Le prime tensioni e le dichiarazioni di ali Khamenei
Con un messaggio che non lascia spazio a dubbi,Ali Khamenei ha aperto il fuoco con parole decise,rispondendo alla dichiarazione del presidente americano Donald Trump,che ha per il momento escluso l’uccisione del leader iraniano.
Il vertice della Guida Suprema ha rilanciato la sua sfida: “La Repubblica islamica trionferà sul regime sionista”. Nel frattempo, la notte è stata segnata da un nuovo scambio di missili tra Tehran e Israele, con l’esercito israeliano che ha ordinato l’evacuazione immediata di un distretto nella capitale iraniana.
Il quadro dell’escalation militare
Secondo fonti citate dal New York Times, l’iran starebbe preparando un arsenale di missili e apparecchiature militari con l’obiettivo di colpire basi americane in Medio Oriente nel caso in cui Washington intervenisse a fianco di Israele.
Non solo missili,ma anche la minaccia di installare mine nello Stretto di Hormuz per bloccare le navi da guerra statunitensi nel Golfo Persico,una mossa che potrebbe paralizzare una delle rotte marittime più strategiche al mondo.
Attacchi e allarmi in Israele
La giornata è stata segnata da un intensificarsi degli attacchi missilistici: le sirene d’allarme hanno riecheggiato a Tel Aviv, Gerusalemme, nel Golan e nelle aree centrali dello Stato ebraico. I voli dei missili iraniani sono culminati in almeno quindici raid balistici, di cui una parte è stata bloccata dai sistemi di difesa israeliani.
Non si registrano feriti finora, grazie anche all’efficace intervento delle squadre di soccorso Magen David Adom. Parallelamente, il primo ministro Benyamin Netanyahu ha mantenuto un contatto telefonico con Trump mentre si trovava in un bunker per monitorare la situazione.
Decisioni e strategie USA: la possibile svolta
Donald Trump ha interrotto la sua partecipazione al G7 in Canada per convocare un vertice sulla crisi nella Situation Room della Casa Bianca. Pur avendo promesso di evitare nuovi conflitti,ora sembra valutare un coinvolgimento militare diretto a fianco di Israele.
Su Truth, Trump ha chiesto la resa incondizionata dell’Iran, sottolineando la superiorità militare americana sui cieli di Teheran. Pur confermando che Khamenei non sarà eliminato “almeno per ora”, ha avvertito che la pazienza degli Stati Uniti è al limite, soprattutto per quanto riguarda eventuali attacchi con missili verso truppe o civili americani.
Sul tavolo l’ipotesi di un attacco mirato
Una delle opzioni più delicate riguarda un attacco alle infrastrutture nucleari iraniane, in particolare all’impianto sotterraneo di Fordow, profondamente protetto e accessibile solo tramite armi di estrema potenza come il Massive Ordnance Penetrator (GBU-57), un ordigno di quasi 14 tonnellate trasportabile esclusivamente da bombardieri B-2, risorsa che Israele non possiede.
Questa considerazione sposta l’asse della potenziale operazione verso un coinvolgimento americano più diretto, al di là di un semplice supporto difensivo.
Tra negoziati e minacce: il delicato equilibrio
Fino a pochi giorni fa, Trump aveva mostrato apertura per un ritorno al dialogo con Tehran, cercando un accordo sul nucleare.Ora, invece, la tensione cresce e la presenza militare USA nella regione si rafforza con nuovi caccia e con la portaerei Nimitz schierata nel Golfo Persico.
Le autorità iraniane hanno già avvertito che un coinvolgimento americano in attacchi alle loro installazioni potrebbe compromettere definitivamente ogni speranza di accordo sul disarmo nucleare.
Nel frattempo,Trump ha proposto di inviare emissari di alto livello – forse il vicepresidente o un inviato speciale – per trattare una “vera soluzione” della questione nucleare,incontrando esponenti di spicco come il ministro degli Esteri Abbas Araghchi,figura chiave nell’intesa del 2015.
Il peso della politica interna americana e le reazioni globali
La possibile escalation deve fare i conti con un Congresso spesso scettico, dove una risoluzione bipartisan potrebbe limitare le azioni militari non autorizzate contro l’Iran, evocando limiti costituzionali al potere esecutivo.
Inoltre, la linea interventista dell’amministrazione incontra opposizione da parte di influenti gruppi e media conservatori, mentre nel Pentagono si dibatte sull’opportunità di concentrare risorse militari in Medio Oriente anziché sul confronto strategico con la Cina nel Pacifico.
Appelli alla diplomazia e valutazioni europee
Dal G7 emergono messaggi di cautela, con la richiesta di riprendere il dialogo per evitare un’escalation incontrollabile. Il presidente francese Macron ha avvertito contro ogni tentativo di cambiamento forzato di regime che potrebbe gettare la regione nel caos.
Il cancelliere tedesco Merz ha invece riconosciuto il ruolo di Israele nel contrasto alle minacce iraniane, sottolineando che, senza un intervento americano, la distruzione totale del programma nucleare iraniano rimane fuori portata per Tel Aviv.
Un equilibrio instabile che cambia rapidamente
Nel giro di pochi giorni il quadro è mutato velocemente: da un approccio di contenimento e cautela, si è passati a un controllo militare più marcato degli spazi aerei iraniani. Il rischio di un conflitto più ampio è palpabile e porta con sé interrogativi fondamentali sulle mosse dei protagonisti internazionali.
La crisi mediorientale, dunque, resta al centro di un delicato gioco di potere, dove politica, militare e diplomazia si intrecciano in una partita che coinvolge non solo le nazioni interessate ma l’intero equilibrio globale.
Siamo social! Clicca e seguici per essere sempre connesso con noi!