Il drammatico ribaltamento politico a Damasco
Tra l’8 dicembre e il 10 marzo, la Siria ha attraversato un periodo in cui sembrava emergere una nuova era di partecipazione democratica, solo per rivelarsi ben presto un violento sconvolgimento degli equilibri del potere. L’idea di un governo aperto e basato sui diritti individuali ha ceduto il passo a una realtà cruda, dove ogni apparenza di rinascita si è trasformata in un cambiamento radicale e sanguinoso.
I protagonisti in evoluzione: da emarginati a carnefici
In questo contesto di sconvolgimento, i membri della minoranza alawita, già un tempo privilegiati per il loro stretto legame con il regime, si trovano ora a subire le conseguenze di un sistema che li ha trasformati in bersagli. Chi fino a poco tempo fa era considerato un pilastro della sicurezza politica viene oggi coinvolto in una spirale di vendette, senza distinzione di età o passato. la trasformazione è così profonda da consentire a ex vittime di assumere ruoli di potere, cambiando la dinamica della repressione.
Parallelamente, i cittadini sunniti che hanno combattuto contro il vecchio regime o appartengono a famiglie di rilievo vedono aprirsi nuove opportunità. Grazie a contatti influenti — dai capi clan locali fino ai dirigenti dei principali enti finanziari — molti riescono ad accedere a benefici e risarcimenti, mentre le minoranze non sunnite si trovano ad affrontare misure abusive e silenziose.
Espropri e violenze nelle vie di Damasco
La capitale, Damasco, è diventata teatro di operazioni represse in cui lo Stato espropria sistematicamente proprietà e beni legati al passato regime.In episodi improvvisi e senza una reale valutazione giudiziaria, migliaia di famiglie assistono allo smantellamento del loro patrimonio abitativo, con operazioni notturne che colpiscono in ogni ora del giorno.
La repressione, organizzata e fredda, non si ferma solo agli immobili. In quartieri soggetti a controlli serrati, funzionari e forze dell’ordine bussano alle porte dei residenti alawiti per reclamare proprietà, spesso senza lasciare spazio a resistenze. Numerosi casi, che raggiungono le centinaia di migliaia, hanno lasciato decine di migliaia di individui senza una dimora sicura e con prospettive di ripresa sempre più remote.
Rivoluzioni nei settori pubblici e istituzionali
Anche il comparto sanitario ha subito un duro colpo: il principale ospedale militare,fonte di assistenza sia per le forze armate che per i civili,ha chiuso dopo il licenziamento di medici,infermieri e personale amministrativo. Questa crisi ha costretto molte famiglie a perdere non solo il tetto di casa, ma anche l’accesso a un sistema sanitario storicamente affidabile.
In diverse aree, in particolare nelle zone costiere, si sono verificate requisizioni forzate. Avvisi sommari impongono ai cittadini alawiti di lasciar andare in sole 24 ore le proprie risorse, come auto e altre proprietà. Chi si oppone si trova ad affrontare bande armate che,operando nell’oscurità,sequestrano imprenditori e professionisti,lasciando scie di distruzione e insicurezza.
La duplice natura dell’autorità centrale
Al vertice del nuovo assetto di potere, un leader dalla lunga esperienza in situazioni di crisi si erge a simbolo di un cambiamento ambiguo. Pur riconoscendo la necessità di un sostegno internazionale e della rimozione delle sanzioni economiche per governare efficacemente, la sua scelta di non intervenire apertamente contro le violenze in corso ha espresso una duplice strategia.Apparentemente volto a contenere le tensioni, il suo approccio contribuisce in realtà a mantenere un clima di instabilità e diffidenza.
Con migliaia di vittime, specialmente tra i civili alawiti, il costo di questa fase di transizione si traduce in un vero e proprio “pogrom” che persiste. nonostante la possibilità di rafforzare i legami con le comunità colpite, il leader ha deciso di rimanere a damasco, lasciando che la logica del potere e il corso degli eventi plasmino il futuro dei cittadini.
L’accordo storico con i curdi: una svolta strategica
Recentemente, un significativo sviluppo ha catturato l’attenzione dell’opinione pubblica: i curdi, noti per la loro storica autonomia e il sostegno internazionale, hanno siglato un patto che potrebbe influenzare profondamente il panorama politico siriano. Questo accordo, articolato in un documento sintetico che delinea otto punti chiave, vede la firma del leader attuale e di un comandante militare curdo, segnando una nuova alleanza strategica.
Il patto stabilisce una scadenza fino a dicembre per integrare l’Est siriano negli assetti amministrativi curdi.Inizialmente, la proposta alimentava l’ottimismo per una società in cui discriminazioni razziali e religiose sarebbero state eliminate, favorendo incarichi assegnati per merito e una tutela rafforzata per i curdi. Tuttavia, si delinea un obiettivo più calcato: mettere in ombra le vecchie logiche alawite e sfruttare le risorse e il potenziale militare dei curdi per una visione di “Siria unita”, anche se distribuita in maniera disomogenea.
Questo periodo di tregua, per quanto temporaneo, si inserisce in un contesto politico segnata dal recente crollo di un regime autoritario. Il contrasto tra passato e presente continua a far emergere tensioni che, se non gestite, potrebbero alimentare conflitti futuri.
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